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INCONTRO CON LUCA MELDOLESI – VIDEO/ATTI

Luca Meldolesi

Luca Meldolesi

Dopo la Presentazione del Blog #mapparoma a Tor Pignattara del 30 maggio e il seminario del 13 giugno su Migranti: Interazione, Integrazione, Sviluppo. Dall’Europa ai territori metropolitani in collaborazione con la rivista Confronti, CeSLAM organizza una riflessione a tutto campo sui percorsi di sviluppo locale per rammendare un mondo sempre più collegato, ma anche sempre più frammentato e differenziato e in cui le distanze si accorciano e i flussi migratori crescono.

Roma – ex Sala Consiliare – Piazza della Marranella

Mercoledì 14 settembre 2016 – ore 17

INTRANSIGENZE, MEDITERRANEO E DEMOCRAZIA

 INCONTRO A TOR PIGNATTARA CON LUCA MELDOLESI SUI NUOVI PERCORSI DI SVILUPPO LOCALE

Luca Meldolesi ha pubblicato recentemente  Creare lavoro. Come sprigionare il potenziale produttivo italiano (2014), Italici e città. Città e aree metropolitane: sviluppo, reti globali e dimensione europea (2015), Rammendare il mondo (2016), Intransigenze, Mediterraneo e Democrazia (2016).


Roma - ex Sala Consiliare – Piazza della Marranella Mercoledì 14 settembre 2016 – ore 17

Roma – ex Sala Consiliare – Piazza della Marranella
Mercoledì 14 settembre 2016 – ore 17

4 Responses to INCONTRO CON LUCA MELDOLESI – VIDEO/ATTI

  1. Mario Campli Rispondi

    4 settembre 2016 a 10:05

    (da: ‘Intransigenza, Mediterraneo e democrazia’, 1°ed. aprile 2016)”Riepiloghiamo. Primo punto: un cambiamento epocale si è effettivamente verificato e continua a verificarsi. Secondo: collegata ad esso, è stata rilevata una ripresa consistente delle religioni e della religiosità. Terzo: tali tendenze si sono manifestate (e si manifestano) per processi oscillatori (di natura economica, politica, culturale, militare religiosa, ecc.. (…) Ora dalle tendenze oscillatorie diventa subito chiaro che è necessario irrobustire il padroneggiamento dei processi per consentire un’evoluzione positiva” (p.125)

  2. Mario Campli Rispondi

    9 settembre 2016 a 18:02

    Da: “Rammendare il mondo”, ed. Rubettino 2016

    (Citando l’antropologo C. Geertz – Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo, il Mulino, Bologna, 1999)- “…La concezione dell’identità culturale intesa come campo delle differenze, rivela a mio avviso un alto grado di validità generale per il mondo moderno. Questa immagine del mondo si addice alla Francia e alle tensioni tra civisme laique e l’ondata di immigrati maghrebini che usano il cumino in cucina e rivendicano il diritto delle donne di portare lo chador a scuola. Si addice alla Germania dove ci si accapiglia sul posto dei Turchi in una “madrepatria” che si definisce attraverso l’origine. Si addice all’Italia che è solcata da regionalismi rivali, che modernizzazione e industrializzazione non hanno fatto altro che rafforzare; (….) In conclusione, la teoria politica deve contribuire a farci comprendere meglio gli orrori e la confusione in cui tutti viviamo e aiutarci così a sopravvivere ad essi. a mitigarli e, di tanto in tanto, addirittura ad evitarli (…) Per contribuire alla nascita di una prassi politica incentrata sull’arbitraggio culturale (…), la teoria politica deve entrare nel merito dei fatti concreti”

  3. alfonso.pascale Rispondi

    11 settembre 2016 a 17:03

    “Come contemperare libertà e sicurezza? Come assicurare la convivenza civile mentre nel frattempo prende piede una prorompente realtà multi-etnico-culturale-religiosa? Come affermare la nostra continuità identitaria di fronte a un “rimescolamento” dell’umanità di tali dimensioni, di diaspore, di meticciati?

    Da qui è facile comprendere che le nostre società, insieme alle accoglienze, ed ai processi evolutivi graduali ad esse corrispondenti, debbono trasformarsi profondamente per riuscire a mantenere un vasto consenso, nel rispetto delle loro leggi.. Ed ancora che tale evoluzione contiene una logica intrinseca che travalica i confini, valorizza (oltre alle comunità etniche) quelle “di sentimento”, come l’italicità che, per quanto composita, sembra chiamata, dallo svolgersi degli eventi, ad un crescente ruoio di responsabilità world-wide.

    E’ dunque una problematica, quella che affrontiamo nel presente lavoro, che si collega alla realtà internazionale. Infatti, a livello complessivo, lo sviluppo del processo policentrico della cosiddetta globalizzazione richiede (evidentemente) una gestione via via più condivisa delle umane sorti – se non vogliamo, sia detto tra parentesi, che il fazionalismo diventi belligerante e conduca infine alla tirannide (come accadde ai Comuni italiani di quasi mille anni or sono…).

    E’ chiaro, infatti, che al processo di dintegrazione in atto bisogna saper rispondere con spinte contrarie: con processi di riaggregazione, basati sulla democrazia, sull’incivilimento, l’affratellamento. Bisogna saper combattere le pretese egemoniche anche di natura religiosa, e dare l’esempio. Questa può essere effettivamente la logica robusta che sottende il ragionamento sull’italicità. O comunque può essere una sua interpretazione (non autorizzata, tale da rappresentare parte di un’uscita di sicurezza da una situazione non facile”.

    Luca Meldolesi

    (dalla Prefazione di “Intransigenze, Mediterraneo e
    democrazia”, Roma, 2016)

  4. alfonso.pascale Rispondi

    13 settembre 2016 a 23:33

    LUCA MELDOLESI è un economista, storico del pensiero economico, docente di politica economica, esperto di economia dello sviluppo, di Mezzogiorno e di funzionamento dello Stato.
    Ha sviluppato un suo originale punto di vista scientifico, multidisciplinare (dall’economia alla storia, dalla scienza politica alla sociologia), lavorando in Inghilterra con Piero Sraffa, in Francia con Fernand Braudel e negli Stati Uniti con Albert Hirschman.
    In Italia ha insegnato alla Sapienza di Roma, all’Università della Calabria, alla Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione e alla Federico II di Napoli.
    Negli ultimi anni, il suo lavoro si è concentrato sulla riforma dello Stato, sul Mezzogiorno e sullʹemersione e la sicurezza del lavoro, con particolare riguardo ai sistemi di piccola impresa e allʹoccupazione.
    Ha ricoperto diversi incarichi istituzionali: consigliere economico del Ministro della Difesa, del Presidente della Cabina di Regia Nazionale presso il Ministero dellʹEconomia, Presidente del Comitato per lʹemersione del lavoro non regolare presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e successivamente al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
    Da tempo il Prof. Meldolesi persegue strategie di sviluppo locale facendo leva su piccole e medie aziende, imprese, associazioni e comunità locali. Ad attrarlo è la città di Braudel e Cattaneo, la città nello schema federalista che assume lo sviluppo come proprio terreno d’impegno. In Italia sono Milano e Napoli. Con istituzioni alle prese coi “ tre flagelli dell’assistenzialismo (clientelismo, corporativismo e illegalità)” e che rendono difficile il perseguimento dell’approccio.
    Se, tra gli innumerevoli libri che ha scritto, si leggono i più recenti “Creare lavoro. Come sprigionare il potenziale produttivo italiano” (2014) e ”Italici e città” (2015) si può comprendere facilmente la sua impostazione. Ciò che colpisce è la chiarezza con cui descrive le politiche, gli strumenti e poi ne analizza l’applicazione pratica, gli esiti, i risultati, le responsabilità. In genere, coloro che studiano e scrivono su questi argomenti, non esaminano mai le politiche pubbliche in modo così puntiglioso.
    Fanno riflettere alcuni suoi giudizi lapidari: “La verità è che spesso il Centro non sa di cosa parla perché i suoi uffici non sono affatto al servizio delle realtà locali: non sono mai stati educati ad esserlo”. Oppure “La mentalità assistenzialista ha perso terreno in attrattività, in capacità egemonica – anche perché non ci sono soldi e quindi è meno utile perorarla ed è diventato più agevole sostenere la causa dell’uscita dall’assistenzialismo”.
    C’è una condizione per lo sviluppo locale che Meldolesi fa sempre emergere in ogni situazione: le doti personali, imprenditoriali, creative e culturali di persone con chiare attitudini alla leadership, disposte a creare reti locali di interessi. Dove per “interessi” si intendono non solo quelli legati all’area di appartenenza dell’impresa, dell’azienda o della associazione, ma quelli molto più ampi e complessi della crescita del territorio a cui queste appartengono o in cui operano. Si tratta dell’”italicità”, una scoperta di Piero Bassetti. Il quale la definisce “comunità di sentimento”, retta da un “comune sentire” più che da “una comune appartenenza etnico-linguistica e nazionale”. Sono le diaspore italiche nel mondo che hanno elaborato un’identità capace di stare nella globalizzazione senza confliggere con altre identità, anch’esse frutto di diaspore. Sono identità che hanno subito meticciati e mescolamenti ma che continuano a rifarsi ad una cultura originaria, quella del nostro Paese.
    Meldolesi si è posto in dialogo con Bassetti e – accompagnato sempre dalla moglie, Nicoletta Stame, una sociologa che ha insegnato “Politica sociale” per un lungo periodo alla Sapienza – è andato a studiare
    questo fenomeno negli Stati Uniti, Canada, Australia. Nel corso del viaggio si è convinto che l’italicità sia una opportunità che l’Italia non dovrebbe trascurare se vuole far crescere la propria economia.
    C’è un tema, in particolare, che Meldolesi propone alla “comunità italica di sentimento” di sviluppare: il dialogo tra la nostra cultura e quella musulmana. Ne parla nel suo ultimo lavoro: “Intransigenze, Mediterraneo e democrazia” (2016). E ci fa scoprire le radici comuni di queste culture. Ma anche i caratteri di quel fondo di intransigenza che c’è nelle religioni e nelle religiosità cristiane e musulmane.
    Quando le intransigenze di stampo religioso o di altro tipo riemergono e generano odio e violenza, come in questi anni sta avvenendo in modo crescente, non ci resta che lottare contro di esse perseguendo la strada del dialogo, della condivisione e dell’interazione.
    Si tratta di un’indicazione incoraggiante – una di quelle che Hirschman non definirebbe sbagliata proprio perché porta il carattere dell’incitamento e dello sprone. Ed oggi è questo che serve maggiormente.

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